Coinvolgere gli abitanti del territorio nella cocreazione di un cammino attraverso una mappatura partecipata: è l’obiettivo di Non lasciare traccia, progetto europeo di tracciaminima
Sulle sponde del Lago Maggiore si estende un territorio frammentato, tetris di regioni (Piemonte e Lombardia) e di Stati (Italia e Svizzera) che spesso viaggiano su binari paralleli, senza comunicare. Proprio su queste sponde è nato, nell’estate 2020, il collettivo tracciaminima, con l’obiettivo di abbracciare l’intera area in un unico progetto: un cammino intorno al Lago Maggiore. Anzi, ben più di un semplice – dell’ennesimo – cammino. Fin dal principio, a guidare le attività è la volontà di renderlo un processo partecipato e bottom up. Ora quelle aspirazioni di cocreazione sono sfociate del progetto europeo Non lasciare traccia, finanziato all’interno del programma European Solidarity Corps.
Il progetto Non lasciare traccia
“Questo Solidarity condensa la filosofia del nostro progetto”, sostiene Simone, tra i fondatori di tracciaminima. In Non lasciare traccia, il tracciato del cammino diventa infatti uno strumento per favorire il coinvolgimento delle persone, attraverso attività online e offline di mappatura partecipata. Ci si muove fluidamente tra realtà digitale e fruizione “analogica” del patrimonio naturale locale. Nelle uscite sul territorio si ripercorre una tappa del cammino del Lago Maggiore insieme a una guida ambientale, arricchendola con deviazioni e punti di interesse suggeriti dai partecipanti e dalla guida stessa. Gli escursionisti sono incoraggiati a utilizzare l’applicazione OsmAnd per scattare fotografie geolocalizzate, che in seguito vengono caricate sulla mappa interattiva del cammino durante workshop online realizzati in collaborazione con Map for Future.
Al termine degli incontri, in programma fino a primavera inoltrata, il percorso avrà così il volto datogli dai partecipanti a Non lasciare traccia. “Sarà risultato di un processo davvero partecipato, cosa che nel mondo dei cammini è una cosa abbastanza nuova e inusuale”, afferma Simone.
European Solidarity Corps: di cosa si tratta?
Il progetto Non lasciare traccia è reso possibile dal Corpo Europeo di Solidarietà (o European Solidarity Corps, ESC), iniziativa della Commissione Europea che supporta progetti volti al miglioramento delle comunità locali tramite iniziative inclusive e sostenibili. Si tratta di un programma particolarmente accattivante per i giovani, dal momento che a presentare un progetto può essere sia un’associazione che un gruppo informale di giovani under 30. Un ottimo entry level, dunque, adatto anche a piccoli enti che desiderino affacciarsi al mondo della progettazione europea.
“Una caratteristica interessante è che non valuta soltanto l’output perché presta particolare attenzione al processo”, racconta Caterina, cofounder di tracciaminima. “L’obiettivo è favorire la crescita del team proponente, i giovani devono imparare qualcosa”. È funzionale a questa idea di capacity building interno la presenza di una voce di budget blindata e riservata a 12 giornate di coaching per il team proponente. Un progetto ESC può durare al massimo 12 mesi e per ogni mese si ricevono 500 euro (fino a un massimo di 6mila euro), ma non occorre presentare un cronoprogramma né un budget dettagliato. “Scrivere questo progetto è stata una palestra gigante per me, ho imparato a rapportarmi con il linguaggio dell’Unione Europea e con i suoi obiettivi”, ricorda Caterina. Il programma è insomma un incubatore di possibilità per mettere a terra i progetti di giovani innovatori e costruire competenze diffuse nella scrittura e nella gestione di progetti.
I primi traguardi di Non lasciare traccia
A qualche mese dall’avvio del progetto, è tempo di fare i primi bilanci. “È bello riscontrare che c’è interesse e che stiamo portando qualcosa di nuovo in un territorio che ne ha bisogno”, spiega Caterina con entusiasmo. “Non è sempre facile, ma è una sfida positiva che porta nuove energie”.
“Abbiamo buonissimi risultati in termini numerici, c’è un forte coinvolgimento”, le fa eco Simone. E dire che, all’inizio del progetto, temevano di non avere abbastanza partecipanti alle uscite. “Ciò che è stato fondamentale, in modo un po’ old fashioned, è stata la locandina, con cui abbiamo tappezzato le bacheche dei paesi”, sorride Caterina. A fare il resto è stato l’ammiccante slogan Ammappala che vi spicca sopra. È la rivincita del cartaceo sull’algoritmo: i partecipanti alle uscite spesso non vengono a conoscenza del progetto sui social, ma perché incuriositi dalla locandina, alla moda veja.
Raggiunti soddisfacenti risultati in termini di partecipazione numerica, adesso si lavora per trasformarla in vera cocreazione. “Con le persone occorre fare un lavoro culturale per far capire loro che sono delle esperte del proprio territorio”, riflette Simone. “Non sempre si sentono legittimate a darci un suggerimento sul percorso, si lasciano condurre e accompagnare perché sono abituate così”. È il delicato, ma fondamentale, passaggio da fruizione ad attivazione: solo così si possono mettere a sistema le conoscenze già presenti sul territorio e attingere da quell’intelligenza collettiva di cui ci parla Simone.
La cocreazione come processo
Nel complesso puzzle territoriale del Lago Maggiore c’è ancora un tassello da incastrare, quello delle amministrazioni comunali. Sono oltre 50, sparse su due province e due stati. Come spiega Caterina, “Questi piccoli comuni fanno molta fatica a guardare oltre i propri confini territoriali”. Un’azione tuttavia necessaria nella creazione di un progetto che idealmente unisce le municipalità e crea ponti attraverso i confini. “Da un lato c’è chi fa animazione del territorio come noi, dall’altro ci sono i Comuni che portano avanti gli aspetti istituzionali – racconta Simone – ma c’è ancora molto da fare per quanto riguarda le modalità di incontro tra questi due mondi e soprattutto la presa di consapevolezza da parte dei soggetti istituzionali”.
Una consapevolezza che tarda ad arrivare, in particolare quando si parla di cocreazione e dei necessari tempi di incubazione di progetti basati sulle sinergie e sullo slancio collettivo. Secondo Simone, “Il senso della coprogettazione è creare a un prodotto finito in maniera lenta e graduale, mettendo insieme tutti gli attori”. Ed è un po’ frustrante scontrarsi con l’urgenza di arrivare a quel risultato rapidamente, come se la nascita di un cammino si esaurisse nell’apposizione della segnaletica e dei pannelli informativi. “Un cammino esiste quando continui ad animarlo, altrimenti rischi che muoia come tanti altri”, ci ricordano i cofondatori di tracciaminima. “Noi stiamo creando un prodotto turistico senza pensarlo come tale, ed è fondamentale lavorare con la comunità locale per creare qualcosa di condiviso”.
E dopo Non lasciare traccia?
È in questa direzione che va il loro sguardo, quando riflettono sulle loro ambizioni al termine di Non lasciare traccia. “Vorremmo facilitare un grosso tavolo con tanti attori del territorio”, dichiara Simone. “Avviare con un’associazione un nuovo capitolo di tracciaminima, che segni l’inizio di un progetto più grande”. In questo progetto, Caterina ci vede anche una dimensione più sociale: “Penso ad esempio a rendere il cammino inclusivo per persone con disabilità e fragilità, o allo svolgimento di lavori etnografici di raccolta di storie sul territorio”.
Per aggiornamenti sul progetto consultare il sito di tracciaminima e i profili social